L'Unità d'Italia - Associazione Culturale Ambrogio Viale - Cervo (IM)

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Conferenze


L'Unità d'Italia - Cervo - 23 sett. MMXI


Conferenza dell'Avv. Renzo Brunetti
Vice Presidente Vicario dell'Associazione Mazziniana Italiana

Chi è Renzo Brunetti: Biografia dell'Avv. Renzo Brunetti

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L'avvocato savonese Renzo Brunetti, laureatosi a pieni voti all'università di Genova in Diritto Costituzionale, si è particolarmente dedicato a tali studi, nonché a quelli di Diritto Internazionale, Amministrativo,Tributario, Contabile, Civile e Penale.

Ha acquisito lunga esperienza nel Comitato Regionale di Controllo sugli atti degli Enti Locali e della Regione Liguria, quale amministratore della propria città, e nel Centro Studi Amministrativi di Savona di cui è stato co-fondatore, nella collaborazione a riviste specializzate e di cultura, nella partecipazione ad associazioni internazionali a livello dirigenziale delle stesse e nell'aggiornamento e nel costante approfondimento sulla legislazione vigente e sulla giurisprudenza.

Si occupa di associazioni ONLUS relative alla difesa dei diritti umani e di volontariato.

E' Vice Presidente Vicario dell'Associazione Mazziniana Italiana (AMI), associazione che propugna i principi di emancipazione morale, politica e sociale sostenuti da Giuseppe Mazzini e della tradizione politica del pensiero repubblicano,svolgendo un’intensa attività culturale e pedagogica.

Dal suo lavoro letterario “Sono un Mazziniano: una militanza civile tra pensiero e azione” , ordinato in tre parti con i titoli: “Repubblica di Popolo”, “L’Educazione dalla storia e dalla memoria”, “Europa e Umanità”, emerge non solo la formazione mazziniana ma anche la sua passione civile che traduce la vita in missione, la militanza in dimensione esistenziale, in cui risiede l’essenza della sua appartenenza fraterna al genere umano.
Il suo saggio è un insieme di “divozione laica” nei valori del progresso, cui ogni uomo, emancipandosi sul piano sia individuale che collettivo, può partecipare senza ricorrere a ipotesi provvidenzialistiche, ma al tempo stesso senza inaridirsi nelle secche del materialismo. Questa antologia di pensieri morali e libertari costituisce, in realtà, una guida nella complessità delle contemporanee società italiana ed europea, quasi ripercorrendo le grandi direttrici storiche del ‘primo’, ‘secondo’ e ‘terzo’ Risorgimento dell’Italia, della ispirazione umanitaria, avversa a ogni forma di totalitarismo che si arricchisce nel dialogo tra diverse genti, e quindi capace di far sviluppare, a livelli continentali, quei processi federativi di Popoli liberi, eguali e affratellati tra loro. La sua opera è un “vademecum” che, dalla storia italica, trae forza e identifica i valori necessari per i tempi avvenire.


Signor Sindaco, Caro Presidente dell’Associazione Ambrogio Viale, Signore e Signori,

Noi non “celebriamo”; vogliamo “vivere” una Nazione, ch’è la nostra, dove siano nati ed operiamo, per adeguare la REPUBBLICA ad ideali che ne facciano il regime del buon governo, della morale pubblica, della educazione.
Per farlo nel migliore dei modi, dobbiamo considerare un periodo un po’ più lungo: quello che dalla rivoluzione francese giunge ai giorni nostri, cioè tutto l’ “evo moderno”.
All’inizio troviamo proprio questa nostra terra ligure, la cui stirpe precede la storia di “ROMA”, teatro delle guerre napoleoniche, che, come tutte le guerre, distrussero molto, ma molto trasformarono il vivere civile, perché portarono idee di libertà, di eguaglianza, di fraternità.
Con esse vi furono anche lutti, sofferenze, morti e carestie dei nostri avi, che soffrirono molto, ma molto retaggio di principi ci tramandarono.
Eccoci quindi alla prima campagna napoleonica del 1796, che portò i principi della grande rivoluzione nel mondo.
L’ottimo presidente della Associazione promotrice mi ha fatto omaggio del testo di una intelligente pubblicazione su “Cervo e la Repubblica Ligure” del libro “Rapsodia Cervese”  edito dalla “Cumpagnia du Servu”, dalla quale traggo notizia di una partecipazione a quegli eventi, molto diffusa nella comunità del ponente ligure.
In ragione del tempo che ci è dato, devo limitarmi alla citazione dei nomi, ma sarà bene che qualche giovane, curioso di storia, andando oltre le scarne righe di biografia, collochi ciascun personaggio nel contesto storico ed amministrativo dell’epoca, per trarne gli influssi sulla “grande storia”, consci che questa costituisce sintesi di quelle locali e che gli atti di ognuno determinano effetti, talora impensati per gli stessi autori.
Così nella caduta della Repubblica (aristocratica) di Genova e la costituzione di quella (democratica) Ligure già nel 1797 / 1798 troviamo coinvolti Ambrogio Viale, Angelo Morchio, Giuseppe De Simoni, Domenico Alassio, Angelo Giudice, Agostino Terrizzano, Carlo Lepre, Francesco Simone, Saverio Desimone, Francesco Viale, e poi Calsamiglia, Rittore, Albavera, Carchero, Giuseppe Viale e Giobatta Alassio.

Il Vostro “Solitario delle Alpi" non è soltanto il cantore di episodi storici, si misura con gli eventi, ricopre incarichi diversi ed infine presta la sua attività come commissario di governo di Capo Mele e nel 1805, a soli 35 anni, cessa di vivere, forse per essersi troppo prodigato per la comunità che amava.
Poi, nel secolo successivo, si diffonde il verbo mazziniano e pare che la nostra sia la terra più adatta a comprenderlo e divulgarlo.
Il testo “Dianesi nel Risorgimento” edito dalla “Comunitas Diana”, sempre omaggiatomi dal bravissimo Presidente della Associazione “Ambrogio Viale”, cita nomi, eventi, vite e sacrifici di Giovan Battista Alassio e del figlio Serafino,di  Agostino Ardissone, G.B. e Nicolò Ardoino, Agostino Barone, Giacomo Biga, Bresca, Berardi, il frate Felice Calsamiglia, Giacomo Cambiaso, Giacomo Cavalieri, G.B.Comotto, Pietro L.Damele, Del Becco, Borra, Belgrano, Bonavera, Giuseppe Serafino Calvo, Pietro L. Damele, Carlo e Michele Elena, Pietro Gagliolo, Domenico Garello, G.B. Ghigliazza, Tomaso Gorlero, Domenico Lombardi, Luigi Mascarello, Cesare Nasino, Domenico, G.B. e Paolo Novaro, Giovanni Quaglia, Emanuele Ramella, Nicola ed Agostino Recco, G.B. Rivera, Giovanni, Giuseppe e G.B. Roggero, Andrea Rossi, Raffaele Rosso, Francesco Sagrato, G.B. e Francesco Sasso, Luigi Temesio, Domenico Terrizzano, Fedele Tomatis, Domenico e Nicolò Viale .
Tra loro vi sono affiliati all’associazione mazziniana ed altri, comunque impegnati nelle battaglie risorgimentali.
L’elenco è così lungo che converrà dedicare una apposita rievocazione a quei personaggi, non per vantarli come icone, ma per comprendere -almeno- quanto ciascuno seppe sacrificare di sé stesso e dei propri affetti per il bene comune.
Sono presenti tra noi i discendenti di Andrea Rossi e di Giovan Battista Alassio “uomini della Libertà”, ai quali va il nostro saluto riconoscente, nel nome dei loro antenati.

Di alcuni vorrei evocare vicende -che traggo sempre dalla citata fonte- NON per vantarci del loro ricordo, bensì per comprendere -ed apprendere da loro- quanto occorra “dare” alla comunità per “ricevere” da essa.

Nicolò ARDOINO , ch’ era di un anno più anziano (1804) di Mazzini, fu condannato a morte in contumacia nel 1833 (l’anno del suicidio di Jacopo Ruffini, nel carcere genovese), maggior generale, e si distinse nelle battaglie per la libertà spagnola;
Andrea ROSSI (1814-1898 di Diano Castello), con tutti i caratteri del ligure di antica tempra, che sul mare e da esso, pareva trarre il vigore dell
intera vita, combattè a SantAntonio al Salto l8 febb. 46 con Garibaldi, fu pilota e comandante in seconda del Piemonte nella spedizione dei Mille, poi sbarcò a Melito in Calabria nel lug. del 60, divenne capitano di vascello; meritò la cittadinanza onoraria di Palermo nel 60 e la medaglia dargento al valor militare. Ma non sono gli elenchi di merito che lo fanno ricordare da noi posteri, bensì la perizia dei momenti salienti della storia, come durante lapprodo a Marsala, quando proprio le sue abili manovre consentirono il felice esito di quel fatidico sbarco, oppure quando analogamente- portò Garibaldi sulla coste calabre dopo la conquista della Sicilia. Poi fu anche Capitano di vascello, sindaco di Diano M. e molto daltro. Pensando a Lui –come a molti nostri concittadini- rinnoviamo l’orgoglio per essere figli di questa terra, tanto aspra quanto generosa.
Giovan Battista ALASSIO, definito dal carattere “turbolento”, rifugiato in Francia, quando la polizia lo ricercava nella sua città, giornalista del foglio “L’Unità d’Italia” edito in Milano negli anni ‘60 , con il distico mazziniano “Pensiero e Azione”e poi –negli anni ’70- della “Gazzetta Rosa” di ispirazione anticlericale sempre edita a Milano. A Cervo, sia pure con le alternanze delle sue molte attività, trascorse l’intera vita, conclusasi nel 1875. Scopo della sua azione fu –davvero- la traduzione immediata di ogni “pensiero in azione”, sia nei giudizi sulla stampa dell’epoca, sia in quelli dei rapporti sociali in generale, perché –fedele alla primaria ispirazione dell’Apostolo- individuò nel “Popolo” il protagonista dei tempi avvenire e ad esso riportò sempre gli effetti degli eventi che si succedevano e, soprattutto in quel 1867, che fu l’anno di Mentana, mortificavano l’Italia nella sua più genuina aspirazione all’Unità.
I frutti della sua azione non si fecero attendere, se vero è che soltanto dieci anni dopo (1 febb.1885) la sua morte, sorse in Cervo una società di mutuo soccorso con il motto “Ora e Sempre” altro distico posto quasi a sigillo delle associazioni mazziniane, come di molto carteggio del Maestro.
Apparteneva, cioè, a quegli uomini che eressero la milizia politica a religione di vita, per la quale tutto doveva sacrificarsi, pur di progredire verso gli scopi grandi, che riguardano l’intera società italiana.
Come però tralasciare una menzione particolare di :
Giovanni BRESCA che, dopo aver frequentato assiduamente la “Bella Madre” sul versante dianese di capo Berta, luogo di convegno dei patrioti di parti diverse, fondò il circolo “Pensiero e Azione” di Oneglia;
di Ludovico BERARDI che guidò i volontari di Oneglia nella prima guerra di indipendenza;
di Giovanni CAMBIASO che cadde a Talamone, nel fiore degli anni;
di Giambattista Ghigliazza, massone e decorato sia dalla Francia che dall’Italia.
Per soffermarmi ancora un momento sulla sensibilità “d’ambiente” (come si direbbe con linguaggio moderno), si noti che ho menzionato soltanto alcuni cittadini di Cervo e del dianese, senza citare quelli di altre terre ponentine, che generarono , sempre e solo ad esempio, gli onegliesi Elia Benza e G.B. Cuneo, il sanremese Pietro Viesseux (fondatore del famoso “gabinetto” fiorentino, che editò la “Antologia” (la “Nuova Antologia” ch’ebbe, tra recenti suoi direttori, il sen. Giovanni Spadolini), i cui apporti al Risorgimento meritano singoli studi, non solo per la dedizione, ma per l’originalità di ciascuno.
V’erano poi i tre fratelli Ruffini (Jacopo, coetaneo di Mazzini, Giovanni ed Agostino), genovesi di formazione ponentina, poiché trascorrevano lunghi periodi in Taggia, luogo d’origine della loro madre, Eleonora Curlo, considerata dal Mazzini una sua seconda madre;
romanziere, uomo di alti studi, combattente di Mentana; nonché i molti altri massoni, carbonari, mazziniani, quali Federico Campanella, Nino Bixio, Simone Schiaffino.


Deve pur aver significato il fatto che due (dei quattro) c.d. “padri della Patria” -Mazzini e Garibaldi- fossero liguri non solo per nascita, bensì per ritrosità, per perseveranza, per disinteresse, per tenacia ed amor patrio.
Citati –un po’ a caso- alcuni uomini con cui la nostra terra concorse alla epopea nazionale, credo utile però percorrerla –almeno per sommarie citazioni- per cogliere il significato storico, ideale, economico e potenziale di essa.
Dopo la caduta del Buonaparte, come noto, il Congresso di Vienna (1815) intese ristabilire l’equilibrio europeo, ricreando regimi precedenti e costituendo nuovi stati a seconda delle convenienze di quella “Santa Alleanza” che pure da esso derivò, con la quale i vincitori avrebbero inteso governare la ricca Europa post rivoluzionaria.
La “Santa Alleanza”, voluta dall’imperatore russo e fondata su un aspetto sacrale dei rapporti tra gli stati, nel nome della religione cattolica, in realtà, accentuava solo il paternalismo con il quale le antiche potenze ritenevano di poter dominare l’Europa.
Come detto il criterio fondante di quel Congresso fu la restaurazione degli antichi Stati, con alcune mutazioni non secondarie.
1 – In Spagna, con Ferdinando VII di Borbone – Braganza, venne ricostituito il regno, con la tradizionale potenza del clero e della inquisizione, la persecuzione anche di quei liberali che avevano combattuto i francesi ed il potere affidato ad una oligarchia, cui venne attributo l’epiteto di “camarilla”;
2 – In Portogallo tornò sul trono Giovanni VI – che rimase però in Brasile ove si era rifugiato – e lasciò mano libera all’Inghilterra, risultata una delle vere vincitrici del nuovo assetto;
3 – Si ricostituì la confederazione SVIZZERA, con 22 cantoni ed una nuova costituzione, nonché la esclusione definitiva della Valtellina;
4 – Belgio ed Olanda vennero unite in un regno “dei Paesi Bassi” di nuova formazione, con sovrano Guglielmo I d’Orange Nassau;
5 – Il granducato del LUSSEMBURGO venne attribuito ad altro ramo della dinastia Orange Nassau e fece parte della confederazione tedesca;
6 – Il regno unito di Gran Bretagna e Irlanda con Giorgio III della casa Annover acquisì Malta, il Capo, l’Helgoland, il protettorato delle 7 isole ionie e l’Annover, eretto a regno , con una unione personale ed il dominio incontrastato dei mari;
7 – Dall’antico regno di Germania derivò la CONFEDERAZIONE TEDESCA, con 39 stati sovrani tra cui 4 città libere, una dieta sedente in Francoforte e presieduta da un rappresentante dell’Austria, che ne ebbe così il predominio;
8 – Il regno di Prussia , con Federico Guglielmo III degli Hohenzollern –in parte compreso nella confederazione tedesca, venne ingrandito con la Sassonia, le province del Reno, il regno di Polonia (eccettuata Varsavia);
9 – L’impero AUSTRIACO, con Francesco I degli Asburgo Lorena –anch’esso in parte compreso nella confederazione tedesca, acquisì l’Illiria, il Salisburghese, il Tirolo la Galizia ed il Trentino, nonché il regno del Lombardo – Veneto e venne retto con potere assoluto dal suo imperatore;
10 – L’impero Russo –guidato da Alessandro I della casata Holstein Gottorp- si ampliò con il ducato di Varsavia che prese il nome di “regno di Polonia e Finlandia”;
11 – Cracovia venne eretta a città libera sotto la protezione di Russia, Prussica ed Austria;
12 il regno di Svezia e Norvegia (tolto alla Danimarca), costituì una “unione personale” sotto Carlo XIII della stessa casa Holstein Gottorp, il quale nomin principe ereditario il maresciallo Bernadotte (futuro Carlo XIV);
13 – Il regno di Danimarca rimase con Federico IV, con il Laueburgo, lo Schleswig e lo Holstein (facenti anche parte della confederazione tedesca);
14 – L’impero ottomano mantenne la sua consistenza, mentre alcune popolazione, soprattutto nei Balcani, mostravano segni di’irrequetudine;
15-18 – Restano gli stati minori (Lichtenstein, Andorra, S. Marino e Monaco).

L’ITALIA, poi, venne divisa nei seguenti stati:
a) regno di Sardegna, con Vittorio Emanuele I che acquisì la antica repubblica ligure;
b) il Lombardo Veneto, andato all’Austria, con la Venezia Tridentina, la Venezia Giulia, Fiume e la Dalmazia;
c) il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, con Maria Luigia d’Austria (vedova di Napoleone I);
d) il ducato di Modena e Reggio, con Francesco IV, arciduca d’Austria ed erede degli Este;
e) il principato di Massa e Carrara con Maria Beatrice d’Este, madre di Francesco IV (ed erede della stessa);
f) il ducato di Lucca, sotto Maria Luisa di Borbone, che avrebbe ereditato il ducato di Parma, alla morte di Maria Luigia d’Austria, mentre quello di Lucca sarebbe spettato al Granducato di Toscana;
g) Il Granducato di Toscana, con Ferdinando III Asburgo Lorena, cui si aggiunsero il principato di Piombino e lo stato dei presidi;
h) Lo Stato Pontificio, cui si aggiunsero i principati di Benevento e di Pontecorvo, con Pio VII;
i) Il regno di Napoli e di Sicilia, con Ferdinando I, re della due Sicilie;
j) La Corsica passò dalla Repubblica Ligure alla Francia;
k) Malta passò alla Gran Bretagna.

Forse mai in precedenza, la penisola aveva subito uno smembramento tanto sistematico quanto mirato a disintegrare ogni velleità identitaria.
Per spossatezza dopo le lunghe guerre napoleoniche, le popolazioni delle campagne si mostrarono favorevoli al nuovo assetto d’Italia, mentre opposto atteggiamento assunsero le popolazioni cittadine, che maggiormente avvertivano i mutamenti economico sociali delle altre nazioni.
Basti ricordare che in Inghilterra v’era stata la rivoluzione industriale del XVII secolo, in Francia la rivoluzione dei Lumi, in Germania si sviluppava il grande movimento romantico, con letterati che impressero i caratteri all’intero secolo.
Il componimento dei grandi interessi in conflitto, che trovarono a Vienna una provvisoria sistemazione, non avrebbe però potuto reggere a lungo, non tenendo conto dei bisogni e delle tendenze liberali e nazionali, compresse dal dispotismo e che si ridestavano, senza ulteriori possibilità di coercizione.
L’Inghilterra e l’Austria erano così le potenze dominanti, la prima sui mari, la seconda sui territori, mentre l’Italia era ridotta ad una “espressione geografica”, come ebbe a qualificarla il principe di Metternich. Le stesse rivalità tra Prussia ed Austria creavano premesse dei grandi sommovimenti che si sarebbero determinati nel corso del secolo appena iniziato.
La lunga premessa è necessaria se si voglia comprendere come e perché l’Italia, a differenza di altre Nazioni europee, ha risentito e sofferto più di ogni altra il paternalismo e conformismo che da quel Congresso ed Alleanza sono derivate e, tuttora, non è riuscita a liberarsi di alcuni complessi, derivanti dalla presenza dello stato pontificio nel territorio, con il connesso interesse della Chiesa “temporale” di mantenere le divisioni; in realtà per governare, tramite potenze straniere o direttamente, anche gli stati italiani del XIX secolo e quello unitario poi, attraverso i “pregiudizi” che hanno caratterizzato la nostra evoluzione nazionale.
Le condizioni di miseria, di analfabetismo, di arretratezza dell’Italia divisa ed oppressa, spiegano anche i molti moti insurrezionali che furono necessari perché l’idea stessa di “nazione” si diffondesse, fino al momento storico utile per coagulare –almeno nelle strutture- la unificazione d’Italia.
Leggendo la stessa autobiografia di Mazzini (mi riferisco a quei “proscritti” dei moti di Alessandria del 1821 che egli narra di aver incontrato quando, a passeggio con la propria madre ed un amico di famiglia, il Gambino, si avvicinò loro un uomo barbuto che chiedeva l’ “obolo” per i proscritti d’Italia), apprendiamo quanto in lui stesso, che fu certamente l’Apostolo dell’Unità, fu casuale la “prima idea dell’Italia”, come assetto politico da ottenere, come condizione di riscatto e della stessa esistenza, per riscoprire quella IDENTITA’ con cui gli antichi si imposero al mondo, gli intellettuali del Rinascimento riscoprirono i classici, i rivoluzionari di Francia portarono gli ideali nella esterrefatta Europa quali stendardi sulle loro baionette e gli uomini del XIX secolo dovevano ritrovare quale condizione della loro dignità di uomini.
Quando il venticinquenne Mazzini, nel nov. 1830, arrestato come carbonaro, portato nella fortezza del Priamar a Savona e quindi, liberato nel febbraio del ’31, giunse a Marsiglia, ch’era divenuta un rifugio di esuli italiani, molte erano le idee, ma nessuna di essa mirata all’Italia, “una, libera, indipendente e repubblicana”.
Laureato nel 1827 in giurisprudenza a Genova, in quello stesso anno Mazzini, è stato iniziato alla carboneria, assieme ad Jacopo Ruffini; attorno a Lui si era formato –negli anni degli studi- un attivo cenacolo di compagni (richiamato nel romanzo di Giovanni Ruffini, il “Lorenzo Benoni”), che apparentemente si occupava di argomenti letterari, collaborando prima all’ “Indicatore Genovese” e poi, dopo la soppressione del primo, all’ “Indicatore Livornese” (sul quale scrivevano anche il Bini ed il Guerrazzi), ma che, in realtà, guardava ai patrioti che, nel quindicennio precedente avevano dovuto scegliere le vie di un esilio, senza speranza di ritorno, per i rigidi sistemi di assolutismo vigenti negli stati italiani.
Di questi, ciascuno tendeva ad espansioni territoriali in danno del vicino, spesso con propositi di assetti regionali (o di parti della Penisola): nessuno con l’intento di rendersi promotore della unificazione nazionale.
Di essa, però, riunendosi in associazioni di denominazioni classiche o moderne, (“Le Pleiadi”, la “Heteiria”) od aderendo a precedenti associazioni di antichi repubblicani post rivoluzionari) avevano già lungamente parlato quegli studenti, uniti a Colui che sarebbe presto divenuto il profeta d’Italia .
Dopo le delusioni delle associazioni segrete, che consideravano non adeguate per metodi e per tempestività ai nuovi tempi, quei giovani volevano passare dai discorsi alla “azione” per liberarsi da quelle forme oppressive che non erano soltanto di carattere politico, ma giungevano a coartare le libertà religiose, morali, individuali, con il controllo delle pratiche religiose degli studenti, il giudizio sui loro comportamenti durante gli studi, le loro frequentazioni ed amicizie, non solo per evitare le cospirazioni, ma impedire che i contatti umani potessero generarle.
In quel fatidico 1831, dall’esilio marsigliese, Mazzini –ripeto: venticinquenne- OSO’ scrivere una lettera a Carlo Alberto, rimasta famosa, con la quale invitava il destinatario a porsi a capo degli Italiani, per donar loro quelle garanzie di vita collettiva per mezzo delle quali ogni popolo ha diritto per farsi “nazione”.
L’appello, inascoltato o deriso dall’ “Italo Amleto”, venne forse rimpianto dal re, costretto ad abdicare a favore del figlio, la notte della sconfitta di Novara di diciotto anni dopo (mar. 1849), quando ormai erano svanite le speranze delle 5 giornate di Milano e delle vittorie dell’esercito piemontese con le quali si era aperta la prima guerra d’indipendenza iniziata l’anno prima.

Dopo la c.d. “prima” “Giovine Italia”, con la morte di Jacopo Ruffini (1833), il fallimento della spedizione nella Savoia (1834), l’espulsione dalla Svizzera ove si era rifugiato, la condanna a morte sua e di altri affiliati, la c.d “crisi del dubbio”, che lo stesso Mazzini descrive nella sua autobiografia, le “speranze” d’indipendenza dalle potenze straniere si erano rivolte ai c.d. “moderati”, confluendo con le idee di Gioberti (“Primato morale e civile degli Italiani”), di Cantù, e soprattutto si erano coagulate su un’idea di federazione degli stati italiani, ponendo a capo di essa il nuovo papa –PIO IX- eletto al soglio nel 1846.
In questa situazione, dopo che Milano insorse nel marzo ’48, patrioti di tutta Italia –provenienti dal centro, dal regno delle due Sicilie ma anche dallo stato pontificio- si erano uniti alla guerra del Piemonte contro l’Austria.
Dopo le prime vittorie del ’48, però, si avvertì che quella prima guerra di indipendenza non aveva trovato una guida verso l’Unità, poiché essa sarebbe potuta derivare soltanto da una unione di popolo, che crea rapporti duraturi, in quanto fondati su reciproca dedizione e vennero quindi le sconfitte, l’armistizio di quello stesso anno, poi la guerra perduta .
Per comprendere fatti e delusioni della prima guerra di indipendenza, è però necessario tornare alla fondazione della “GIOVINE ITALIA” –in quel 1831, quando a Marsiglia, tra quegli esuli di diverse nazionalità, disorientati nei fini, tra massoni, carbonari, ex militari delle campagne napoleoniche, fuggiti dalle loro terre per non sopportare la schiavitù morale nella quale erano astretti- Mazzini, in luogo degli scopi indefiniti e sconosciuti delle società segrete , pose alcuni principi a fondamento della nuova associazione.
Le novità di essa erano radicali.
Il programma era definito (l’abbiamo detto: “Italia una, libera, indipendente, repubblicana”); v’era un limite di appartenenza in ragione dell’età (i quarant’anni) così da escludere prioritariamente coloro che dal XVIII secolo derivavano le loro idee di azione; il sistema associativo veniva statutariamente previsto nel funzionamento (anche se segreto nei tempi di azione, per non incorrere nelle polizie degli stati assoluti che opprimevano l’Europa).
L’associazione era fondata su un principio morale (l’adempimento dei DOVERI come condizione per l’esercizio dei diritti ed “educare per educarci”) per rivelarci, di tempo in tempo, i “finiche Dio prefigge ad ogni Popolo, assunto come “individuo dell’Umanità”, con il dovere religioso di farla progredire , al fine dell’”unione universale dei Popoli” ed adottava un sistema addirittura a stampa per la diffusione delle idee (così si produssero i “quaderni della Giovine Italia”, che raggiunsero le 60.000 copie ciascuno, vennero divulgati in tutta Italia ed in alcuni paesi confinanti, in misura addirittura eccezionale, tenuto conto del numero degli alfabeti, delle difficoltà per possibili sequestri di polizia, degli arretrati mezzi di trasporto, della stessa consistenza della popolazione, ch’era inferiore alla metà di quella attuale).
Nacque così il primo partito politico italiano, che assume importanza non per la priorità temporale, rispetto agli altri, ma per la identità degli associati, liberi ed eguali, ai quali non venivano più imposte direttive da segrete “vendite”, ed erano chiamati a decidere loro stessi le azioni da promuovere per raggiungere gli “scopi” politici e sociali. Questi erano sì quelli dell’ “illuminismo”, ma non da perseguire come singole persone, bensì nell’associazione che costituisce un “Popolo” e quindi con la capacità di riconoscere il ruolo di ognuno, rispettandolo e facendolo proprio (di qui la partecipazione di molti affiliati, alla lotta per le libertà della Grecia, della Polonia, dell’Illiria, della Spagna, della Francia stessa, fino ai garibaldini delle Argonne) .
Nelle posizioni della Giovine Italia, gli individui operano politicamente per unire la propria Nazione, non per farne prevalere una su altra, e, non solo per riconoscere l’identità di ogni nazione, bensì per acquisire la capacità di concorrere all’unico scopo di far progredire l’Umanità verso forme politico sociali più evolute.
Da ciò, nei nomi e nei propositi derivano le “Società Operaie” tra associati nel concetto di “solidarietà” e di DOVERE reciproco da adempiere come condizione stessa dell’umana dignità individuale.
Erano i medesimi fini delle antiche associazioni,massoniche e carbonare, espressi in forma politica, capace cioè di tradurre i “pensieri in azioni”.
Ecco perché soltanto tre anni dopo –il 15 apr. 1834- a Berna, Mazzini fonda la “Giovine Europa”: avrebbe dovuto essere il primo nucleo del Popolo Europeo, di quegli “Stati Uniti d’Europa” che ancora auspichiamo, tra gli affanni di un sistema capitalistico che mortifica, anzicchè esaltare, gli impulsi vitali dei Popoli.

Credo però che il “nodo” della UNITA’ e della nostra odierna REPUBBLICA, trovi proprio nel decennio successivo le sue ragioni profonde, che si manifestarono nella REPUBBLICA ROMANA, proclamata il 9 febb. 1849.

Furono le prime, pur sfortunate, battaglie dei romani, guidato dai generali Rosselli e Garibaldi, frattanto rientrato dopo le fatidiche difese dell’indipendenza degli stati del sud America nel 1846 con l’aureola dell’”Eroe dei due Mondi”, che dimostrarono le potenzialità della guerra di popolo, nei giorni delle lotta più aspra contro le truppe francesi del generale Oudinot , mentre la assemblea costituente romana deliberava la prima COSTITUZIONE redatta da una assemblea democraticamente eletta e solennemente proclamata il 4 lug. 1849, mentre quelle truppe entravano in Campidoglio .

Furono la severità ed equità dimostrate dal Triumvirato (Mazzini, Saffi, Armellini) tra le maggiori difficoltà di governo di quelle giornate, le eroiche difese del Vascello, di Villa Glori, di Villa Spada, del Granicolo, i sacrifici di tanti italianissimi, tra cui Mameli, Dandolo, Manara, che dimostrarono alla attonita Europa che esisteva negli spiriti e nelle volontà di uomini temprati dalle secolari oppressioni, la volontà di unire la nazione in uno stato unitario.
Nel 1857 Pisacane – altro mazziniano difensore della Repubblica Romana- nel tentativo di liberare il meridione d’Italia, alla guida di trecento volontari, a Sapri venne trucidato non solo dalle truppe borboniche, ma dagli stessi contadini che scambiarono per briganti, proprio coloro che volevano affratellarli all’Italia
Nel 1859 (II guerra di indipendenza) dopo l’armistizio di Villafranca, la Lombardia venne unita al Piemonte.
Nel 1860 furono la spedizione dei Mille, con le battaglie di Calatafimi, di Palermo, del Volturno, la unione dei “picciotti” con i volontari di Garibaldi, la manifestazione che l’UNITA’ era davvero la prima delle esigenze di una nazione risorta dall’antica servitù, a mostrare che la questione italiana non poteva più essere elusa.
Successivamente, nel 1862 Garibaldi, con i suoi volontari, tentò di unire Roma all’Italia, ma fu fermato dall’esercito piemontese sull’Aspromonte, e poi nel 1867 ancora a Mentana, fu sconfitto dai cassepots francesi a MENTANA, ma l’Italia era ormai una realtà europea, dalla quale le cancellerie degli stati già componenti della “Santa Alleanza” non avrebbero più potuto prescindere.
Vennero poi la terza guerra di indipendenza nel 1866 con le brucianti sconfitte dell’Italia Custoza e Lissa) che non aveva ancora preso coscienza di sé stessa e che tuttavia acquisì il Veneto, e la liberazione di Roma il XX settembre del 1870, mentre Trieste e Trento, le città italiane dell’irredentismo, erano ancora soggette allo straniero.
Si susseguirono il sacrificio di Guglielmo Oberdan nel 1882, le giornate tristi delle lotte sociali, la infauste

imprese italiane in Africa, la grande guerra, lo sfacelo della dittatura nel XX secolo e le sciagurate avventure imperiali.
Non è possibile ricordare portata e significato di ciascuno di questi fatti per la storia del nostro Paese, quindi li tralascio, perché vorrei trarre delle conclusioni che possano essere utili a noi, italiani del XXI secolo, posti di fronte a problemi non minori, che tuttavia fruiamo di un patrimonio eccezionale, derivante da un passato tanto glorioso, per provare ad essere degni di esso.

In una relazione svolta nel corrente anno, il prof. Morris Grezzi, invocando un revisionismo risorgimentale meno inquinato da mitologie e da retoriche, o peggio da preconcetti e da luoghi comuni, ma mosso prevalentemente da realistica ed impietosa analisi storica, ricorda che
“… La revisione non può percorrere le fuorvianti e propagandistiche strade della questione meridionale, che tenda a contrapporre la monarchia sabauda a quella borbonica e non può neppure rivisitare inveterate contrapposizioni tra cattolici e laici, tra clericali ed anticlericali, riaprendo … la vecchia ‘questione romana’.
La revisione dotata di maggior fondamento storico dovrebbe riguardare le componenti IDEOLOGICHE, che hanno contribuito alla unificazione italiana.
lo Stato nazionale italiano nacque dall’ opera di due gruppi di forze politiche e sociali contrapposte: quelle libertarie, repubblicane, democratiche e federaliste: l’INDIPENDENZA, da un lato, e quelle autoritarie, monarchiche, stataliste e centraliste dall’altro lato.
Nel pensiero libertario di Garibaldi, Mazzini, Cattaneo, Ferrari, Pisacane o Montanelli i concetti di REPUBBLICA, FEDERALISMO, e DEMOCRAZIA, tendevano a confondersi, ad unificarsi ed a coincidere nell’unico valore delle libera autonomia dei cittadini.
Nel versante opposto, Gioberti con il suo federalismo neo guelfo, Carlo Alberto piuttosto che Vittorio E. II, o Camillo Benso di Cavour con le loro strategie di alleanza internazionale verso la altre case regnanti”,
pare “cercassero di costruire uno stato di sudditi, guidati in modo eteronimo dalla volontà di una ristretta oligarchia di notabili, se non direttamente dal monarca o dal Papa stesso.
Nelle più roventi fasi insurrezionali e militari, che condussero all’Unità … le due componenti risorgimetali (quella repubblicano federalista democratica e quella monarchico centralista autoritaria) risultarono quasi sempre mescolate e trasversali, rispetto sia alla laicità, alla presenza libero muratoria ed alla religione cattolica, sia alla realtà politica settentrionale ed a quelle meridionale.
Le contraddizioni storiche non possono essere cancellate completamente dal potere vincitore e dominante, neppure attraverso il controllo sociale e le falsificazioni pseudo culturali.
La domanda da porre con fermezza oggi …..è UNA, PRECISA, INELUDIBILE: quali forze conquistarono il controllo di tale unificazione e gestirono lo stato che ne nacque ? … i vincitori furono i monarchici, statalisti e centralisti; in sintesi le forze più conservatrici, autoritarie ed antipopolari del Risorgimento.
Alla luce di questa riflessione, è possibile comprendere … la sostanziale continuità, priva di palingenesi libertaria e democratica, che ha accompagnato, senza soluzione di continuità in questo secolo e mezzo, l’istituzione statale italiana e anche il PREGIUDIZIO ANTIMASSONICO
” (ed aggiungerei: anti – libertario) “che è sopravissuto fino ai giorni nostri. Non è possibile lasciar cadere nel silenzio la storia triste che lo Stato unitario riservò ai suoi principali eroi mitologici risorgimentali” (Garibaldi, Mazzini, Cattaneo). ….
Le forze reazionarie prevalsero e riuscirono a fondare uno stato autoritario di sudditi. …
Le forze risorgimentali conservatrici si saldarono con quelle reazionarie cattoliche nonché con quelle feudali del meridione d’Italia e riuscirono a dar vita ad un nuovo stato che nel tempo assunse i volti delle repressioni anti - popolari del 1898, delle decimazioni perpetrate a seguito della disfatta di Caporetto durante la I guerra mondiale, delle imprese coloniali, del fascismo, dell’impotenza di una costituzione repubblicana ricca di valori civili scarsamente realizzati, della ideologia burocratico . statalista – assolutista, del giustizialismo e dell’incapacità RIFORMATRICE
”.
. “ La grande assente nella storia italiana è proprio la RIVOLUZIONE”, onde “si comprende la “mancanza di quello spirito di fiera, combattiva, ed indomita AUTONOMIA che caratterizza e deve caratterizzare i cittadini delle moderne democrazie per distinguerli dai sudditi delle antiche monarchie.”
L’Italia si unificò, ma fu una unificazione voluta da alcune classi, quasi in contrapposizione, non per volontà ed in virtù di uomini affratellati tra loro.
Per ciò, le divisioni territoriali continuarono, le lotte di classi, disaggregarono la “Nazione” in “nord” e “sud”, in “miseri” e “potenti”, in “eroi” e “villani”, in “puri” ed “impuri” per razza, per sesso, per condizioni sociali, fino a che i nuovi totalitarismi del XX secolo non determinarono le “reazioni”, che portarono, con la lotta di liberazione, alla Repubblica Italiana, che di quella del 1849, la gloriosa e mazziniana Repubblica Romana, fu la continuatrice ideale, anche nelle norme costituzionali, che l’una riprese quasi letteralmente dall’altra.
…. ma poi, gli antichi vizi discriminanti tornarono ed oggi, pur in un contesto internazionale fragilissimo dal punto di vista istituzionale ed economico, le contraddizioni riemergono perché il Popolo in quanto tale non ha acquistato capacità di unità d’azione.
Tutto ciò spiega molto fatti antichi e recenti, tra cui, innanzi tutto, lotte sociali più aspre, che hanno portato ai grandi scandali pubblici (Banca Romana), alle avventate avventure coloniali in Africa, ai cannoni dello Stato unitario spianati sui dimostranti nel 1899 (Bava Beccaris), all’incarico di presidente del consiglio al capo del fascismo, alle leggi razziali del 1938, alla fuga ed al tradimento di Pescara nel 1943 e quindi alla guerra civile prima della liberazione, alla lunghissima stagione democristiana –durante la quale pur si è consolidata qualche istituzione repubblicana-, con i condizionamenti propri di un conformismo di vario tipo, di carattere religioso e civile, con una sinistra che non è capace di liberarsi dai pregiudizi del “politicamente corretto” ed una destra, che non sa praticare neanche le antiche virtù dell’onestà politica, sempre però innaturale, rispetto all’evolversi delle altre democrazie europee, con la conseguenza ultima che ancora e sempre, ci troviamo molto arretrati rispetto ai paesi confinanti, non per incapacità, ma per preordinati disegni di c.d. “poteri forti” che soffocano la Repubblica.La mancata rivoluzione italiana è infatti quella del pensiero collettivo: l’Italia si è unificata non nelle coscienze dei cittadini, ma soltanto nel senso amministrativo del termine.Ciò che fa del “POPOLO” il detentore della sovranità effettiva, indebolisce però i poteri capaci di esercitare i paternalismi, siano essi religiosi, economici od oligarchici.
L’analisi che deriva da questi rapidi sguardi, che, nella sintesi di questo incontro, abbiamo rivolto al processo di formazione dell’Italia, ci dimostra che durante la maggior parte del tempo unitario trascorso, soltanto in alcuni MOMENTI (che ho prima citati: la formazione della ‘Giovine Italia’, della ‘Giovine Europa’, spedizione dei Mille, moti, Aspromonte e Mentana, per unificare Roma all’Italia, la legislazione per l’abolizione della pena di morte -codice Zanardelli-, l’estensione del suffragio universale, la Resistenza e la lotta di Liberazione, la redazione della Costituzione Repubblicana, il nuovo diritto di famiglia -divorzio e filiazione naturale- si sono affermati principi capaci di trasferire la sovranità alla collettività.
In tutti gli altri periodi di questi 150 anni, hanno prevalso le forze conservatrici, che nella nazione unita intendono lucrare i loro interessi economici, mentre non ne hanno alcuno per i “controlli” continuativi che un Paese dalla democrazia sostanziale, riesce ad esercitare sulla c.d. “strutture dello Stato”, per impedire che esse vengano indirizzate alla mortificazione dei diritti individuali e collettivi.
La dimostrazione di questa situazione italiana non sta soltanto nel mortificante paragone tra la nostra condizione e quella di altre confinanti Nazioni, né, soltanto in quello dei deficitari servizi resi al cittadino, ma addirittura nelle interpretazioni che vengono date alle “libertà” costituzionalmente affermate.
La democrazia, oltrecchè quale regime del “controllo” pubblico, è stata definita anche come governo della legge, retto dai migliori tra i componenti del Popolo .
Siamo così giunti ai problemi dell’Italia e dell’Europa contemporanee : la prima che non trova in se stessa l’unità di propositi, la seconda che, nonostante le lezioni impartite dalla storia, non riesce a superare i “nazionalismi”, antitesi della “nazioni”, e corre il rischio di regredire rispetto ai Popoli di nuova generazione.
Forse, ancora con Mazzini abbiamo necessità di educarci ed educare, quindi abbiamo necessità di “scuole, scuole, scuole ed ancora scuole”, finchè la maggioranza del Popolo italiano non risentirà la profonda vergogna di essere ancora “derisi” da altri.
Non so se queste siano espressioni che stimolino verso comportamenti di coesione; certo sono constatazioni antiche, che ritroviamo persino nel nostro inno (non ancora nazionale, in senso normativo): “noi fummo, per secoli, calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi; uniamoci, amiamoci, l’unione e l’amore rivelano ai Popoli, le vie del Signore; …di fonderci insieme, già l’ora suonò”! Dopo 150 anni !
Essendo però uomini fidenti nella religione del dovere per il superiore principio morale di solidarietà, certi che essa contenga valori profondi, talora sopiti, mai superati od estirpati e soprattutto – sentendoci in essa affratellati, sappiamo di poter contare sull’unione degli uomini che sono, perché furono creati, liberi.

        Renzo Brunetti

"In morte a Oberdan" interpretato dal Coro del Monte Cauriol

Cervo, 23 settembre 2011
L'Associazione Culturale "Ambrogio Viale" ricorda...

Bonavera Giuseppe da Diano Marina
Cambiaso Giacomo Antonio da Diano Marina
Damele Pietro Lorenzo da Diano Castello
Lombardi Domenico de Cervo
Nasino Cesare da Diano Marina
Ramella Agostino da Diano Marina
Rivera Giobatta da Diano Marina
Rossi Andrea da Diano Marina
Sasso Giobatta da Diano Marina
Sasso Francesco da Diano Marina
partecipanti alla Spedizione dei Mille

Ardissone Agostino da Diano Borello
Arduino Giacomo da Villa Faraldi
Biga Giacomo Giovanni da Diano Borello
Cavalleri Giacomo Flaminio da Diano Borello
Comotto Giobatta Agostino da Diano Marina
Gagliolo Pietro Giuseppe da Villa Faraldi
Garello Domenico Luigi da Villa Faraldi
Mascarello Luigi da Diano Castello
Ramella Emanuele da Diano Castello
Rossi Raffaele da Diano Castello
Terrizzano Francesco da Cervo
Tomatis Fedele da san Bartolomeo del Cervo
partecipanti alla presa di Roma

Nell'anniversario
dei centocinquant'anni dell'Unità d'Italia e
dei centoquarant'anni di Roma capitale
a tener vivo nelle generazioni col ricordo di eroiche gesta
il culto della Libertà, dell'Uguaglianza e della Fratellanza.

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