La Repubblica Ligure - Associazione Culturale Ambrogio Viale - Cervo (IM)

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La Repubblica Ligure

Le Repubbliche

La Repubblica Ligure (1797-1805) è il nome che ha connotato uno stato preunitario dell'Italia nord-occidentale durante il periodo napoleonico, comprendente il territorio della ex Repubblica di Genova (vale a dire la Liguria, l'isola di Capraia, e la regione dell'Oltregiogo).

Delle quattro grandi repubbliche «giacobine» create in Italia la Repubblica Ligure è senza dubbio la meno conosciuta.
Le vicende della Repubblica Ligure possiedono un loro carattere particolare e sono sensibilmente diverse da quelle delle repubbliche cisalpina, romana e partenopea.
La Repubblica Cisalpina ebbe un parto travagliato. Le truppe vittoriose di Napoleone entrarono a Milano il 16 maggio 1796 tra le acclamazioni dei «patrioti», o «giacobini», ma la repubblica fu proclamata nella capitale lombarda solo il 9 luglio 1797, nonostante la grande manifestazione repubblicana del 14 ottobre 1796.
Era stato infatti necessario attendere che l’Austria rinunciasse alla Lombardia, il suo principale possedimento in Italia, e ciò avvenne solo durante i preliminari della pace di Léoben, il 18 aprile 1797. Nel frattempo era sorta a Bologna, fin dal 1° luglio 1796, una repubblica poi estesa il 4 dicembre 1796 a tutta la zona «cisalpina», comprendente l’Emilia e Modena. Si trattava, insomma, della Cispadana che costituì il nucleo della Cisalpina  alla quale si unì nel luglio1797.
A Roma le cose andarono molto diversamente. All’ingresso delle truppe francesi nella città eterna i «giacobini», che erano una piccola minoranza, proclamarono la Repubblica (15 febbraio 1798).
Anche a Napoli i giacobini proclamarono la Repubblica all’entrata delle truppe francesi, il 26 gennaio 1799.
In conclusione, la Repubblica Cisalpina nacque a seguito di numerose petizioni e manifestazioni di patrioti, dopo i negoziati di Bonaparte con Vienna e Parigi. La Repubblica Romana fu la conseguenza diretta dell’intervento militare francese; la Repubblica partenopea sorse per desiderio dei patrioti napoletani appoggiati dal generale Championnet.
A Genova le cose andarono molto diversamente, innanzi tutto perché Genova era un’antica repubblica risalente al X secolo: repubblica aristocratica, senza dubbio, ma purtuttavia repubblica.
Inoltre, questa Repubblica si era mantenuta neutrale per tutta la durata del conflitto che aveva contrapposto la Francia al resto dell’Europa a partire dal 1792.
Infine, era stata teatro di una propaganda rivoluzionaria e democratica, diffusa soprattutto dalla base di Oneglia governata dal 1794 al 1795 da Filippo Buonarroti e rifugio di tanti patrioti esuli da ogni parte d’Italia.
Questa propaganda rivoluzionaria formò a Genova, così come nelle principali città della Repubblica, un «partito» democratico, questo partito si credette abbastanza forte da tentare, il 22 maggio 1797, un colpo di Stato destinato a rovesciare l’antico governo aristocratico.
A dare il segnale di inizio di quella che fu chiamata la Rivoluzione di Genova fu la fanfara del reggimento dei Cadetti. Mentre questo reparto d'élite si avviava a rilevare la guardia a Ponte Reale (la stazione marittima d'allora) a un cenno del comandante Falco, trombe e tamburi intonarono le note del "Ça ira", inno proibito a Genova per i suoi accesi significati antiaristocratici. A quelle note sbucarono, dalle strade circostanti, squadre di giacobini armati che subito si unirono ai cadetti nell'occupazione del varco portuale e quindi si sparsero per la città. Mentre i nobili si rifugiavano nei loro palazzi e le botteghe chiudevano i battenti, gli insorti presidiarono le Porte delle Mura, saccheggiarono i depositi di armi, liberarono i detenuti della Malapaga e i galeotti.

Ma non aveva previsto che le masse urbane e rurali sarebbero rimaste attaccate all’antico regime. In città i facchini e i carbonari, nelle campagne i contadini, molto probabilmente sobillati dagli aristocratici, reagirono sollevandosi e infliggendo una sconfitta ai giacobini.
Può essere fonte di stupore che folle di miserabili si siano sollevate contro un regime che si prefiggeva proprio lo scopo di migliorare le loro condizioni, di diffondere il «benessere», parola nuova sulla terra, secondo Saint-Just. Gli storici hanno cercato di spiegare queste rivolte popolari: lotta fra le classi sociali, opposizione fra città e campagna, fedeltà agli usi e alle tradizioni del passato.
In realtà, le ricerche più recenti danno il primato al fattore religioso. I poveri delle città e delle campagne erano molto legati alla religione tradizionale che la Francia rivoluzionaria, si diceva, aveva modificato e separato dallo Stato.
Fu l’eco di queste trasformazioni a giocare il ruolo principale nelle insurrezioni controrivoluzionarie a Genova. A queste bande armate contro la Rivoluzione fu dato il nome di Viva Maria, un’espressione già usata nel 1746, al tempo dell’insurrezione di Balilla.
Per lottare contro gli avversari della Rivoluzione i giacobini genovesi si rivolsero a Bonaparte.
Il suo prestigio era allora considerevole, e può sembrare strano che non abbia subito inviato a Genova numerose truppe per imporre a forza la «democratizzazione» della Repubblica Ligure.
In realtà, alla fine del maggio 1797 la posizione di Bonaparte in Francia non era così solida come si potrebbe credere.
La sua politica «italiana» era stata attaccata dai giornali di destra. In particolare Lacretelle accusava Bonaparte di favorire i giacobini creando repubbliche democratiche in Italia. Sarebbe stato più conforme agli interessi francesi, scriveva, restituire la Lombardia all’Austria in cambio del Belgio e, magari, della riva sinistra del Reno, invece che trasformarla in repubblica indipendente, vero e proprio covo di giacobini.
Il presidente del Consiglio dei Cinquecento era il generale Pichegru, che stava negoziando con gli emigrati la restaurazione di Luigi XVIII; Bonaparte era venuto a saperlo attraverso i dispacci del conte d’Antraigues che aveva intercettato il 30 di maggio e che avrebbe comunicato a Parigi al Direttorio. Ma ignorava quali sarebbero stati gli sviluppi della situazione; Pichegru poteva anche reagire. Così si comportò con grande prudenza. L’ambasciatore francese a Genova Faipoult, era anch’esso un moderato e consigliava di evitare ogni violenza.
Bonaparte, d’accordo con Faipoult, si accontentò quindi di un ruolo di arbitro e consigliò ai democratici genovesi di redigere una Costituzione ispirata a quella francese del 1795.
La Costituzione fu elaborata da una commissione di ventidue membri fra i quali erano numerosi giansenisti. Costoro fecero introdurre alcuni articoli concernenti la religione: i beni della Chiesa avrebbero dovuto essere nazionalizzati e venduti e con il ricavato si sarebbero pagate le spese del culto. L’assegnazione dei benefici e delle sedi ecclesiastiche poteva avvenire solo in favore di cittadini liguri. Le ordinazioni dei preti sarebbero state indipendenti da Roma. Questi articoli, di cui gli avversari della Rivoluzione esageravano il carattere anticattolico, fecero scoppiare una nuova insurrezione dei Viva Maria ai primi di settembre del 1797.
Questa volta Bonaparte inviò, per ristabilire l’ordine, un reparto di truppe: la situazione era molto mutata rispetto al mese di giugno. L’armata d’Italia si era «pronunciata» contro i realisti o simpatizzanti realisti francesi e aveva inviato al Direttorio di Parigi pressanti inviti a far piazza pulita degli avversari della repubblica. Bonaparte aveva mandato a Parigi uno dei suoi migliori generali, Augereau, accompagnato da permissionnaires che avrebbero potuto aiutare la maggioranza repubblicana del Direttorio a sconfiggere gli avversari. In effetti un colpo di Stato ebbe luogo il 18 fruttidoro dell’anno V (4 settembre 1797). Bonaparte, grazie alla mediazione di Augereau, trionfò e si trovò con le mani libere. Così si spiega l’intervento militare nella Repubblica Ligure e la repressione delle insurrezioni di Albaro e del Levante.
Dopo questi avvenimenti, la nuova Costituzione fu sottoposta a referendum e approvata il 2 dicembre 1797 per 115.890 voti contro 1.192. Bisogna sottolineare la novità di questa pratica del referendum costituzionale. Senza dubbio il procedimento era molto imperfetto: le liste degli elettori erano incomplete, il voto non era segreto.
Per quanto imperfetta, questa consultazione popolare introduceva alcune prassi democratiche fino ad allora sconosciute e i risultati si sarebbero visti in futuro.
La Costituzione ligure poteva quindi venire applicata.
Qualche mese più tardi nuovi pericoli si profilarono all’orizzonte.
L’armata francese di Lombardia, sconfitta a Magnano il 5 aprile e a Cassano il 27 aprile, e Farinata di Napoli in ritirata ripiegarono sulla Repubblica Ligure.
Quest’ultima doveva diventare l’ultimo bastione della Libertà in Italia.
Massena, che difendeva la città, non riuscì a resistere fino all’arrivo dell’«armata di riserva» comandata da Bonaparte. Ormai esauriti i viveri e le munizioni, capitolò il 4 giugno 1800 ma dieci giorni più tardi, il 14 giugno, Bonaparte riportò sugli austriaci la splendida vittoria di Marengo e la Repubblica Ligure si ricostituì dopo solo dieci giorni d’interruzione: la Cisalpina, invece, cesserà di esistere in meno di due anni e le repubbliche romana e partenopea non resuscitarono più.
La Repubblica Ligure durerà sino al 7 gennaio 1815, giorno della sua definitiva annessione agli stati del re di sardegna.
La fine della Repubblica di Ligure avvenne in un'atmosfera surreale tra l'angoscia dei governanti e  l'attonito silenzio della cittadinanza.
Erano giorni e giorni che si attendevano le decisioni del Congresso di Vienna e, da giorni e giorni, i senatori  non lasciavano il Palazzo Ducale sull'esempio di quanto avevano fatto i predecessori nei momenti più gravi della storia della Repubblica.
La giornata del 25 dicembre 1814 era sorta senza il via vai natalizio: pranzi e banchetti facevano parte di un altro mondo, mentre si avvertiva l'addensarsi dell'uragano.
Nel grande palazzo i Senatori si aggiravano per i saloni silenziosi spiando, dalle alte finestre, l'arrivo di messaggeri nel cortile degli svizzeri..
Girolamo Serra, l'ultimo presidente della Repubblica Ligure era al suo posto.
Arrivarono i corrieri: uno consegnò il suo plico al presidente; l'altro al colonnello Dalrymple, cui lord Bentinck aveva affidato il comando delle truppe inglesi che presidiavano Genova.
Il colonnello scrisse subito a Serra che, l'indomani mattina, si sarebbe presentato a Palazzo con un dispaccio importante e che sarebbe stata opportuna la presenza dei senatori.
Il 26 mattina i senatori, cupi, taciturni, già presentendo ciò che li attendeva, salirono lo scalone e si riunirono nel loggiato.


Dalrymple arrivò puntuale, dopo un rapido scambio di saluti l'ufficiale inglese disse di dover partecipare al senato un dispaccio ricevuto da milord Caslereagh, rappresentante britannico al Congresso di Vienna, e prese a leggerlo in lingua italiana, a bassa voce, saltando i preamboli e giunse alla conclusione infiorettata da molti "dispiace", "futura prosperità", "condiscendenza": insomma la Repubblica Ligure veniva unita al Piemonte, per rafforzare il debole anello della catena stretta attorno alla Francia.
Seguì un grave silenzio: anche il colonnello appariva stanco e pensoso; alcuni senatori gli si avvicinarono assicurandogli di essere convinti «che quanto di sinistro accadeva alla Repubblica era tutto suo malgrado».
A questo punto non restava che prendere accordi per il passaggio delle consegne tra la guarnigione inglese e quella sabauda, comandata da Ignazio Thaon di Revel.
La bandiera di San Giorgio sventolava ancora sulla torre di Palazzo, ma sarebbe scesa ben presto e, questa volta, per sempre.
I senatori tergiversarono a lungo nei corridoi prima di ritornare tra la gente che, incuriosita, a quell'ora del mattino, sostava negli atri e nel cortile.
Prima di lasciare il Palazzo, il governo uscente preparò un  proclama che iniziava così:
«Informati che il Congresso di Vienna ha disposto della nostra Patria riunendola agli Stati di S.M. il Re di Sardegna; risoluti a non usar mezzi inutili e funesti, noi deponiamo un'autorità che la confidenza della Nazione, e l'acquiescenza delle principali potenze avevano comprovata».
Il cambio della guardia avvenne il 7 gennaio 1815.

Mino Vernazza

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